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Costolette di maiale (Pork Spareribs) e del perchè non possiamo dirci consumatori di fiducia


Costolette di maiale (Pork Spareribs)

Tempo di preparazione: 1 ora (più la marinatura)

Difficoltà: media

Segreto: rapporti interpersonali

Ogni libro di ricette è un opera a metà. Molti chef famosi in effetti, si prendono la briga di elencare “i dieci oggetti che ogni aspirante chef dovrebbe possedere”, tra i quali non mancano mai un coltello per sfilettare il pesce, un pelapatate orizzontale ed un mixer ad immersione, mentre non spendono su un argomento fondamentale come l’approvvigionamento della materia prima molto di più di consigli come “chiedete al vostro macellaio di fiducia di disossarvi una spalla d’agnello di medie dimensioni”. Questa cosa del macellaio di fiducia[1] (così come del pescivendolo, del fruttivendolo, del pizzicagnolo etc.) presenta una serie di imperfezioni a cui il Canavacciuolo di turno, nel raccontare la ricetta della spalla d’agnello disossata ripiena di castagne, sembra non fare caso.

Non dev’essere un caso quindi se la mia macelleria di fiducia[2] ha deciso di affidare la gestione dei rapporti con la clientela ad un giovane PR, munito di taglio di capelli alla moda, pantaloni attillati e biglietto da visita. Gli anziani signori dai polsi robusti e la dentatura approssimativa che operano dietro al banco si limitano a fare il loro mestiere e non si avventurano nei gorghi dei convenevoli da bottega, rischiando di tranciarsi un dito indice mentre somministrano alla matrona di turno l’ennesimo e ormai stucchevole augurio di “Buona serata”.

È invece il giovane virgulto a preoccuparsi di porgere con gesto misurato la bustina con le fettine sceltissime alla mammina di turno, ansiosa sia per l’alimentazione dei suoi piccoli mostri sia per l’enorme SUV parcheggiato in doppia fila fuori dalla macelleria. Ed è sempre lui a gestire la fila, a descrivere i pregi dell’alimentazione a base di carne di rossa, a digitare lo scontrino e a fare in fin dei conti tutte quelle cose che contribuiscono a far sì che l’acquisto di animali morti si traduca in una gradevole e veloce esperienza sociale.

Ho comprato due chili e mezzo di costolette di maiale (Pork Spareribs), di quelle sul lato lungo, sufficienti per soddisfare le voglie di quattro persone che non si fanno condizionare nelle loro scelte alimentari da concetti così dozzinali come il colesterolo.


Costolette di maiale (Pork Spareribs)

Veniamo alla ricetta.

La marinatura

In una scodellina mescolate due, tre cucchiai di paprika affumicata, un cucchiaino di zucchero di canna, una dose generosa di sciroppo d’acero, olio di oliva extra, sale e pepe. La marinata dev’essere melassosa e sufficiente a ricoprire le costolette nella loro interezza. Le costolette vanno rigorosamente lasciate attaccate tra loro e così vanno marinate e cotte e servite a tavola. È infatti il “ponte di costolette” a creare l’effetto scenico e non singola costoletta.

Massaggiatele amorevolmente con la marinata, prendetevi il tempo e il gusto necessari, riponete in una teglia, coprite con la stagnola e mettete a riposare in frigo.

Più a lungo le costolette rimangono a contatto con la marinata, migliore sarà il risultato. Io le ho lasciate così per quasi 24 ore.

La cottura.

Ho cotto le costolette di maiale sulla griglia del forno, ponendovi al di sotto la teglia del forno riempita con patate affettate e cipolle lasciate intere. Il grasso che cola finirà sulla teglia e insaporirà le patate rendendole vergognosamente “laide e corrotte”.

Scaldate il forno al massimo, 250 gradi. Poggiate quindi le costolette direttamente sulla griglia del forno arroventata, avendo cura di lasciarvi sotto la teglia.

Fate andare per pochi minuti alla massima temperatura: in questo modo la griglia agirà sulla carne creando un simpatico effetto barbecue, poi abbassate ai canonici 180 gradi e lasciate andare per circa 40-45 minuti.

Finito. Non vi rimane che impiattare in maniera intrigante, portando a tavola qualche coltellaccio d’acciaio inossidabile per separare le costolette.

Le spareribs vanno naturalmente mangiate con le mani e addentate selvaggiamente finchè non rimanga soltanto l’osso, da deporre e accumulare come un trofeo sul piatto. Un tocco di classe potrebbe essere rappresentato dalla presenza di guanti in lattice monouso, preferibilmente neri, ad uso e consumo dei commensali, risparmiando loro così penosi strofinamenti con i tovaglioli di carta o l’ancora peggiore ricorso agli sciacquadita.

Suggerimento del Sommelier:

le costolette di maiale al forno sono un piatto molto sfaccettato, con un’importante componente di grassezza, sapidità, molto aromatiche e succulente. Ci starebbe bene un rosso di livello ma io ho preferito berci un bianco, un pecorino abruzzese. In effetti, l’acidità moderata ha “lavato” il grasso e i sentori vegetali e floreali bene si sono sposati con il profumo della paprika affumicata e con lo sciroppo d’acero caramellizzato.



[1] Il concetto di negoziante di fiducia presuppone un’interazione umana (peraltro oggetto in passato di una certa letteratura e cinematografia). Si può essere degli ottimi Chef ma dei pessimi PR. Non tutti sono capaci, o hanno voglia, di scherzare con Franco il Macellaio o Peppe il pizzicagnolo dei risultati della Roma, delle pessime condizioni del trasporto pubblico e della nuova tendenza giovanile a lasciarsi crescere la barba.
 
[2] In generale, la spesa di negozio in negozio, non è un abitudine perseguibile da tutti, perché richiede tempo, e nessuno ha tempo. Molto più frequentemente, chi fa la spesa, tende a recarsi in un luogo che contiene tutti i luoghi dell’approvvigionamento alimentare, il supermercato. Al supermercato, il concetto di rapporto personale- e quindi di fiducia- è di difficile coltivazione. In effetti, anche ipotizzando una certa periodicità di rapporti col ragazzo che gestisce l’affettatrice al banco salumi, non è a lui che si deve la nostra fiducia, essendo quello solamente un impiegato. E’ in questo caso il supermercato a incarnare il garante sulla qualità delle materie prime. Non a caso, tutte le grandi catene, investono molto denaro in campagne pubblicitarie capaci di solidificare nella percezione del consumatore il concetto di rapporto di fiducia che deve instaurarsi tra chi compra e chi vende il cibo. Tipo “La coop sei tu, chi darti di più”.
 

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