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Zuppa di pane


Tempo di preparazione: 2 ore
Difficoltà: media
Segreto: se non è zuppa è pan bagnato
Perché il luogo comune è sempre dietro l’angolo e siamo talmente abituati a considerarlo tale che le reali differenze possono sfuggire. Se consideriamo come insieme supremo qualcosa circoscrivibile a “ciò che bolle in pentola”, al suo interno scopriremo cose tipo la ribollita, il minestrone, la zuppa di pane, l’acqua cotta, il pan bagnato,  la zuppa di cavolo etc. etc. Quello che accomuna un certo tipo di “roba che bolle in pentola” è il legame con la tradizione e con il territorio. Prendiamo ad esempio la ribollita toscana (dove toscana è già un termine generico in quanto ne esistono versioni aderenti a Siena, Firenze, Massa e Carrara, Pisa, Viareggio, Livorno e chissà quante altre contrade del granducato tanto che anche una versione cinese ha fatto la sua comparsa per le trattorie di Prato): nessuno può sentirsi libero di mettere la sua ricetta della ribollita toscana (per sapere cosa ne penso cliccate qui)  senza che il ghibellino di turno non s’indigni citando quell’ingrediente, quel certo tipo di pane, quell’elemento della tradizione che fa sì che la sua ricetta e solo quella sia la “vera ribollita toscana” (se non ci credete cliccate qui e qui e date un’occhiata ai commenti). Un piatto del genere è paradigmatico della pretenziosità che si nasconde dietro a certe ricette nate come espediente per riciclare gli avanzi- piatti poveri – e, dopo una lunga gavetta di racconti generazionali di “quando una volta il cibo aveva un altro sapore”, assurte alla condizione di piatti cool. Vari esempi ne sono la padellaccia, il quinto quarto, la coda. Tutta roba da poveri- secondo la tradizione popolare- ed ora vittima di un restyling, di un cambio di look che ti propone a 35 euro due polpette di coda alla vaccinara con sedano julienne e sale rosso dell’Himalaya.
La verità è che il cibo da poveri è da poveri- e guai se così non fosse- e l’unico cibo da ricchi è quello che costa tanto. E per fare il fico non usare lo scalogno, compra caviale, tartufo e fegato grasso.
Veniamo alla ricetta: ho usato cavolo verza e patate, pancetta affumicata (caomai qualche vegetariano si sentisse in qualche modo invitato alla mia tavola), formaggio Bergkaese, un trito di cipolla rossa, carote (gialle e rosse), sedano rapa e due spicchi d’glio.
Per prima cosa ho sbollentato separatamente le patate e le foglie di cavolo verza, avendo cura per quest’ultime di separare la nervatura interna-più dura, dalle foglie vere  proprie.
In un pentolone bello grande, ho fatto soffriggere per una decina di minuti il mio trito comprensivo della pancetta affumicata, ho sfumato col vino e poi, lonatno dal fuoco, ho composto il mio timballo di cavolo verza.
Formate un primo strato ricoprendo con le foglie e sopra poggiate le patate a rondelloni. Coprite quindi con uno strato di pane rigorosamente raffermo. Io ho usato pane integrale, naturalmente sentitevi liberi di usare quello che avete in casa, compreso il pane toscano (che ha la caratteristica di essere sciapo). Ripetete un’altra volta l’operazione con le foglie di cavolo verza e le patate, aggiungendo un po’ di formaggio a scaglie (vanno bene parmigiano, fontina e persino Emmenthal). Una gran figata consiste nell’aggiungere una bella crosta di parmigiano al vostro intruglione. Ripetete fino a esaurimento ingredienti la sequenza strato di pane-strato di verza&co., colmate con brodo salato- io ho usato brodo di pollo avanzato da una recente sindrome influenzale- o semplicemente acqua calda (di certo non l’ho scoperta io).
Fate andare per un’oretta e servite in una scodella, avendo cura di condire con olio a crudo, timo, salvia, rosmarino (o quello che avete in casa) e pepe nero.
Consiglio del Sommelier: con la zuppa di pane ho bevuto uno Stellenrust del 2009 fatto con uve Merlot, Shiraz, Cabernet sauvignon. Si tratta di un rosso sudafricano di tradizione che , nonostante abbia raggiunto la popolarità, mantiene le aspettative: ci trovate dentro tutta la selleria e tutta la cassetta delle spezie. Il tannino non è di quella pulizia assoluta che si può trovare in un- tanto per dire- Sagrantino di Montefalco, ma è un po’ confuso, polveroso. La colpa- ça-va-sans dire- è dello Shiraz, da tempo ormai vitigno passato dallo status cult a quello mainstream.
In ogni caso,

Enjoy it!

Commenti

  1. Carino tutto il tuo post. Dalla versione cinese di prato alla citazione a Cracco!

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  2. hahahahaahah....allora mi salvo va, visto che toscana lo sono solo d'adozione e forse è per questo che nella mia ribollita trovi un respiro di tolleranza. In generale detesto i talebani della tradizione, quelli che ti aggrediscono se la ricetta che proponi non è uguale a quella tramandata dalla loro trisavola, che si ergono a detentori della verità e finiscono con il sbrodolarsi addosso presunzione e stupidità. Ma questo lo sai anche tu. La ribollita per quanto mi concerne, ha dei must che sono imprenscindibili: la presenza di 3 tipi di cavolo di cui 1 è per forza quello nero, in percentuale maggiore, ed i fagioli cannellini. Poi le altre verdure cambiano da mano a mano. L'unica cosa che mi chiedi, il formaggio. Posso dirti solo una cosa: sulla ribollita il parmigiano è del demonio!
    Un abbraccione e grazie per la tua ironia! Pat

    RispondiElimina

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