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Fettuccine all'agnello con polpette croccanti e pesto di anacardi e menta






Tempo di preparazione: 2 ore

Difficoltà: alta

Segreto: demi-glace e concia dell’agnello (puzza di pecorone)

Differentemente da quanto avviene a Roma infatti, dove la tradizione fa ricorso all’abbacchio- vale a dire un agnellino con non più di tre mesi- i veri consumatori di carne ovina mangiano pecorone adulto. Tipico dei popoli con tradizione pastorale, l’agnello è una carne assolutamente unica e inconfondibile, che o la si ama o la si odia. L’abilità del cuciniere sta molto nella sapiente conciatura a base di spezie ed erbe aromatiche che vadano a bilanciare l’odore e il sapore pungente che, se dominante, rischia di appiattire il piatto in una dimensione troppo pecoreccia.

Per la demi- glace, prendete la pentola a pressione, con fondo rigorosamente non- anti-aderente, scaldate un goccio d’olio d’oliva extra con due spicchi d’aglio (non dico più vestito e schiacciato perché ne uso una varietà cinese che non è a spicchi) e fate rosolare a fuoco molto vivo le vostre costolette d’agnello (per le proporzioni: due costolette ogni commensale ogni 100grammi di pasta all’uovo), avendo cura che le ossa si attacchino e lascino sul fondo qualcosa da grattare. Come non mi stanco mai di ripetere- e come il vostro cucciolo di alano che mangia 2Kg di carne macinata al giorno sa bene- è nell’osso che abita il sapore ed è da lì che si parte per creare un fondo bruno. Quando avrete l’impressione che sul fondo ci sia qualcosa da raschiare, levate le costolette e calate il vostro trito di carote sedano e cipolla (cipolla bianca), unitamente ad un altro goccio d’olio. Per la cronaca, in questa ricetta ho usato delle carote nere rigorosamente bio-namiorenghenkio-logiche. Con l’aglio fate ciò che volete, tranne utilizzarlo come pretesto per laconversazione. Raschiate bene il fondo e fate andare finché il trito non appassisce. Sfumate col vino (bianco o rosso poco importa, l’importante è che sia buono e non il Tavernellone inacidito che conservate vicino ai fornelli) fino a deglassare completamente il fondo bruno (ecco che finalmente il termine francese demi-glace e un’espressione italiana si incontrano), rimettete le costolette, amalgamate e aggiungete l’acqua per la cottura finale. Acqua salata. Io uso la pentola a pressione, quindi vi servirà almeno un quarto di litro per raggiungere la pressurizzazione necessaria. Un quarto d’ora ad alta pressione sarà sufficiente per completare la cottura. Una volta depressurizzato l’ambiente, levate le costolette e disossatele, mettete via la carne e rimettete in pentola le ossa. Continuate a far andare a cielo aperto fino a quanto il brodo (la demi-glace) non si sia ritirata almeno per la metà. In questa fase potete aggiungere uno schizzo di doppio concentrato di pomodoro, che oltre a colorare simpaticamente la salsa- già di suo abbastanza scura- aggiungerà un po’ di acidità al piatto. Quando vi sembra che la demi-glace sia abbastanza concentrata (ricordo che la demi-glace è qualcosa che deve ritirarsi, ritirarsi e ritirarsi ancora) filtratela con un colino a maglie strette. Non dimenticate di prendervi cura del giusto punto di sale.
 

 
Per il roux: in un pentolino anti-aderente, fate soffriggere a fuoco lentissimo una noce di burro con un rametto di rosmarino e due foglie di salvia. Aggiungete quindi un cucchiaio di farina 00 e fate addensare fino a quando il composto non diventa scuro.

Assemblaggio finale della salsa: incorporate il fondo bruno filtrato nel roux e fate sobbollire fino a quando non raggiunge una consistenza cremosa. Alla fine della fiera, è una besciamella fatta col brodo di ossa di pecorone.

Per le fettuccine: io le ho fatte in casa, ma nulla vi impedisce di comprarle al pasticifico sotto casa. In ogni caso, tenete lontano dalla mia demi-glace  di agnello incorporata in un roux aromatizzato alla salvia e rosmarino le tagliatelle confezionate e secche reperibili sugli scaffali dei supermercati. Il vantaggio di preparare le fettuccine in casa, oltre al sano esercizio per le braccia, è la possibilità di personalizzarne composizione, forma e lunghezza. Io ho usato una farina 00 addizionata di un 15% di farina integrale, quella che si usa per fare il pane nero crucco, ovviamente reperita sugli scaffali del negozio biologico di riferimento. Quello in cui una commessa senza forze, con le mani gelide avvolte da moffolette in lana cotta di bizzarri colori pastello, si lascerà andare ad un sorriso esangue narrando le meraviglie del miglio abbinato al tofu. La farina integrale è inevitabilmente meno elastica e richiede uno sforzo aggiuntivo in fase d’impastamento, ma la fettuccina finale risulta ruvida e puntinata: il vantaggio di una tale texture non e’ solo estetico (il puntinato fa tanto rustico) ma anche funzionale, consentendo alla fettuccina di legarsi meglio al sugo e stimolando la succulenza indotta una volta che attraversa la cavità orale. Le proporzioni le sapete: un uovo ogni cento grammi. Per le uova: sbattetele leggermente prima di unirle alla farina. Potete anche salarle. Usate una superficie di legno (la scabrosità è cosa buona per l’impasto, contrariamente al liscio) pulita e aggiungete le uova alla fontanella di farina poco alla volta. Amalgamate bene, coccolando la vostra sfoglia, spupazzandola. Quando vi sembrerà pronta, mettetela a riposare una mezz’ora avvolta da una pellicola trasparente in luogo fresco e asciutto. Dopo la pennichella, tagliatene con il coltello dei pezzi che andrete a stendere col mattarello infarinato. Potete anche decidere di fare tutto a mano: in questo caso tagliate una seconda volta la sfoglia e ristendetela, avendo cura di raggiungere uno spessore adeguato e omogeneo. Per ricavarne delle fettuccine, dovete arrotolare la sfoglia, tagliarla e poi districarla. Farina a pioggia. Io personalmente consiglio di usare la macchina per la stesura finale, lasciando la faccenda del “tutto a mano” solo agli impastatori più esperti ed abili. Sullo spessore: la fettuccina è ignorante per definizione, fatela erta. La pasta all’uovo raffinata sono i campo filone e, al limite, gli spaghetti alla chitarra.

Per le polpette croccanti: con la carne dell’agnello ricavata dalla disossatura, fate un trito- rigorosamente al coltello, non frullate la vostra carne se non volete incorrere in un terribile effetto Chappy™- fino ma no troppo. Deve rimanere un po’ di consistenza. Salatelo e aggiungete abbondante paprika dolce con un cucchiaino di arissa de Cabon. Per amalgamare bene l’impasto, aggiungete un po’ di pangrattato e un cucchiaio di ricotta (eviterei di aggiungere uovo su uovo, considerando le fettuccine), fate riposare e ricavatene delle polpette di medie dimensioni. Passatele poi nell’uovo e nel pangrattato e friggetele velocemente in abbondante- e caldo- olio di oliva extra misto a olio di semi.

Per il pesto anacardi e menta: la menta è l’aroma finale che va a bilanciare il pecorone. Non a caso è un’erba aromatica molto usata nel maghreb per conciare la pecora e coprire- appunto- la puzza di pecorone. In questo piatto viene tritata nel mixer assieme a degli anacardi, che aggiungono croccantezza, e del parmigiano, completando il piatto nel quale risultano presenti tutti i sapori e le consistenze.

Assemblaggio finale: scolate le fettuccine dopo due-tre minuti dalla ripresa del bollore, fatele saltare velocemente con un po’ di salsa d’agnello e impiattate. Direttamente nel piato, terminate il condimento con un altro po’ di salsa. Disponete quindi un paio di polpettine croccanti e una strisciata di pesto anacardi e menta. La sequenza ideale dovrebbe prevedere una forchettata di fettuccine e un morso di polpettine passate nel pesto. Nulla vi impedisce di strisciare le fettuccine nel pesto e addentare successivamente le polpettine.

Consiglio del Sommelier: Fettuccine all’agnello con polpettine croccanti e pesto di anacardi e menta è un piatto nel quale sono presenti praticamente tutti i sapori e tutte le consistenze. Un rosso d’annata, carico di spezie e avviato sulla via dell’esterificazione, mi sembra il più adatto. Non sono di quelli convinti di capirci di vino perché bevono solo Brunello di Montalcino, ma in questo caso, se avete una qualche bottiglia di pregio dentro casa che aspetta di essere glorificata, beh, e’ il momento di darle soddisfazione.  Io personalmente ci vedo bene uno Zinfandel californiano, ma sono dettagli. Anche perché quello che ho realmente bevuto con questo piatto è un bianco austriaco, il Riesling di Rudy Pichler.

In ogni caso,

Mahlzeit!

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